L’efficacia di utilizzo delle tecniche di de-escalation nel paziente psichiatrico: revisione narrativa

Antonino Calabrò1, Alessia Marangon2, Maria Chiara Carriero3, Federica Ilari 4, Roberto Lupo5, Lorenzo Bardone6

  1. Infermiere ASL Biella S.P.D.C.
  2. Infermiera libera professionista;
  3. Psicologa Istituto Santa Chiara Roma
  4. Infermiere Tutor della didattica professionale UPO sede di Biella;
  5. Infermiere ASL Le, Ospedale “San Giuseppe da Copertino”
  6. Infermiere Tutor della didattica professionale UPO sede di Biella;

 

* Corresponding Author: Dott. Antonino Calabrò, Infermiere presso l’ASL Biella S.P.D.C.

E-mail: antonino_calabro@pec.it

 

DOI: 10.32549/OPI-NSC-34

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Abstract

Introduzione: L’aggressività e la violenza nei luoghi di lavoro rappresentano un fenomeno psicosociale in continuo aumento e questo può causare possibili importanti ripercussioni all’intero processo di cura.

Obiettivo: Valutare l’efficacia delle tecniche di de-escalation nella gestione degli agiti aggressivi del paziente psichiatrico.

Metodi: Per condurre la seguente revisione è stato delineato un quesito di ricerca utilizzando la metodologia PIO. Successivamente, è stata condotta una revisione narrativa della letteratura, attraverso l’utilizzo delle banche dati banche dati PubMed ed EMBASE.

Risultati: Dalla revisione della letteratura internazionale, solamente tre studi soddisfacevano i nostri criteri di inclusione. Dagli studi selezionati emerge che gli operatori della salute mentale reagiscono in modo diverso alla violenza. Alcuni si relazionano con i pazienti generando soluzioni positive, mentre altri gestiscono i pazienti con misure coercitive. Si evince l’efficacia dell’utilizzo delle tecniche di de-escalation nella gestione degli agiti aggressivi e che sia il personale che i pazienti aspirano a raggiungere relazioni non conflittuali e sociali mentre interagiscono in situazioni violente e minacciose.

Conclusioni: La de-escalation risulta essere la tecnica più efficace solo previa conoscenza accurata del paziente, delle sue patologie e degli eventuali segni e sintomi prodromici che possono indicare l’insorgenza di un comportamento aggressivo. Inoltre, risulta più complicata con i soggetti aventi una storia pregressa di aggressività. Tuttavia emerge l’assenza di un’adeguata formazione del personale, che possa garantire la corretta messa in pratica dell’intervento e che possa rendere più sicuri gli infermieri nella gestione dell’agito aggressivo e del paziente violento.

 

Parole chiave: Infermiere, Aggressione; Violenza, comportamento aggressivo, prevenzione, sicurezza, psichiatria, de-escalation, paziente disturbo mentale.

 

The effectiveness of using de-escalation techniques in the psychiatric patient: narrative review.

 

Abstract

Introduction: Aggression and violence in the workplace represent an ever-increasing psychosocial phenomenon and this can cause possible important repercussions for the entire treatment process.

Objective: to evaluate the effectiveness of using de-escalation techniques in the management the psychiatric patient’s aggressive actions.

Methods: To conduct the following review, a research question was outlined using the PIO methodology. Subsequently, a narrative review of the literature was conducted, through the use of the PubMed and EMBASE databases.

Results: From the review of the international literature, only three studies met our inclusion criteria Selected studies show that mental health workers react differently to violence. Some relate to patients by generating positive solutions, while others manage patients with coercive measures. The effectiveness of the use of de-escalation techniques in the management of aggressive actions and that both staff and patients aspire to achieve non-confrontational and social relationships while interacting in violent and threatening situations can be seen.

Conclusions: De-escalation is the most effective technique only after careful knowledge of the patient, his pathologies and any prodromal signs and symptoms that may indicate the onset of aggressive behavior. Furthermore, it is more complicated with subjects having a previous history of aggression. However, the absence of adequate staff training emerges, which can guarantee the correct implementation of the intervention and which can make nurses safer in the management of aggressive action and of the violent patient.

 

Keyword: Nurse, Aggression; Violence, Aggressive behavior, Prevention, Safety, Psychiatry, de-escalation, mental patient.

 

Introduzione

Nella realtà sanitaria l’aggressività nei luoghi di lavoro è un fenomeno in continuo aumento [1]. Gli operatori sanitari, in particolare gli infermieri, hanno un rischio maggiore di subire episodi di violenza [2] e ciò può danneggiare l’intero processo di cura oltre che incrementare lo stress da lavoro [3]. Vi sono delle aree specifiche di assistenza in cui i comportamenti aggressivi si verificano con maggiore frequenza: i servizi di emergenza [4], le attività domiciliari [5], le geriatrie e i servizi di salute mentale e psichiatria [6]. Molti sono gli studi che hanno analizzato i fattori di rischio che possono scatenare un passaggio all’atto (acting-out). Tra questi ricordiamo: il tempo d’attesa prolungato [7], una comunicazione inefficace, la riduzione del tempo da dedicare al paziente [7], l’età e il genere del paziente [8], patologie psichiatriche [8], demenze e/o lesioni cerebrali [9].

Il National Institute of Occupational Safety and Health [10] definisce l’aggressività come: “ogni atto di aggressione fisica, comportamento minaccioso o abuso verbale che si verifica nel posto di lavoro”. La violenza nel posto di lavoro invece, è riferita ad “una serie di comportamenti che possono causare danni, ferite o lesioni a un’altra persona, indipendentemente dal fatto che la violenza o l’aggressione siano espresse fisicamente o verbalmente, e il danno fisico sia sostenuto o l’intenzione sia chiara” [9].

In un’ottica preventiva sorge la necessità di un setting che possa prevenire e gestire il fenomeno dell’aggressività. In merito a ciò, il Ministero della Salute ha riportato delle raccomandazioni per la prevenzione e trattamento della violenza nei luoghi di cura [12] e ha erogato “La Raccomandazione n. 8” [13] che prende in considerazione la “prevenzione degli atti di violenza a danno degli operatori sanitari”. Fondamentale risulta, anche, la formazione del personale curante per poter riconoscere in tempo i segnali d’allarme e saper gestire gli ‘acting out’. In uno studio condotto da Heckemann et al. [14], in cui viene proposto un corso di gestione delle situazioni violente, il 50% dei partecipanti non si riteneva in grado di affrontare la situazione. In un altro studio condotto da Lanza et al. [15] si evince che i corsi di aggiornamento, in cui sono illustrate tecniche di prevenzione, non sono funzionali nel momento in cui i partecipanti sono già stati vittime di aggressione.

L’Istituto Nazionale per la Salute e il Clinical Excellence [16] hanno riportato l’uso di interventi contenitivi per la gestione del comportamento violento e, secondo le linee guida del National Institute for Health and Care Excellence (NICE), i principali sono di tipo farmacologico, fisico e comportamentale [11]. In particolare si ricordano: farmaci Pro re nata (PRN), Tecniche di De-escalation (distrazione, regolazione emotiva, rilassamento della persona ecc.), interventi restrittivi e il rapido rilassamento. Con l’adozione di tali tecniche, l’operatore, sempre dopo aver individuato i segni di un comportamento aggressivo, potrebbe essere in grado di prevenire l’atto violento prima che si verifichi.  Resta quindi fondamentale comprendere e prevenire tali episodi; ad oggi si sa poco sull’efficacia delle tecniche di de-escalation, spesso raccomandate, in termini di riduzione dei danni associati.

 

Obiettivo dello studio

Valutare l’efficacia delle tecniche di de-escalation per gestire gli agiti aggressivi del paziente psichiatrico.

 

Materiali e Metodi

Per condurre la revisione è stato delineato un quesito di ricerca utilizzando la metodologia Population, Intervention, Outcome (PIO) (Tabella 1).

È stata condotta una revisione della letteratura consultando le seguenti banche dati: PubMed ed EMBASE.

Sono state utilizzate le seguenti parole chiave: “De-escalation”;psychiatry”;psychiatry Nursing”; “psychiatric Deparment”, “Hospital; emergency Services”;aggression”; “anger”;violence”; “mental patient”; “psychomotr agitation”; “aggressive behavior”; “aggressive reaction”. Per la ricerca sono state utilizzate le stringhe riportate nella Tabella 2, composte da termini Mesh e key-words combinati tra loro attraverso gli operatori booleani AND & OR. Gli articoli ottenuti e i relativi full-text sono stati verificati da due valutatori, al fine di identificare i report pertinenti.

Criteri di inclusione ed esclusione, strategia di ricerca nella letteratura scientifica  

Sono stati fissati dei criteri di inclusione ed esclusione.

Criteri di inclusione: (a) studi primari; (b) studi pubblicati in lingua inglese e italiana; (c) studi pubblicati negli ultimi 10 anni (all’atto della stesura del presente manoscritto); (d) studi effettuati su popolazione adulta psichiatrica; (e) studi effettuati su popolazione europea e anglosassone.

Criteri di esclusione: (a) studi secondari; (b) articoli su pazienti di psichiatrica pediatrica e pazienti con deficit neurologici; (c) studi che facevano riferimento al solo intervento farmacologico.

Dopo aver applicato i criteri di inclusione ed esclusione, nella fase preliminare sono stati identificati 130 titoli (53 in PubMed e 84 in EMBASE). Sono stati esclusi 2 titoli poiché doppi. I 128 rimanenti sono stati valutati per titolo e abstract, ne sono stati scartati 116 perché non pertinenti con l’obbiettivo o non rispettavano i criteri d’inclusione e 2 perché studi secondari. Dei 10 rimanenti, dopo lettura del full text, sono stati scartati 7 ritenuti non pertinenti al quesito di ricerca. La procedura utilizzata nella selezione degli articoli è presentata di seguito sotto forma di un diagramma di flusso rappresentato nella Figura 1.

 

RISULTATI

Sono emersi tre studi pertinenti con il nostro quesito e nella Tabella 3 ne sono sintetizzate le caratteristiche e i risultati.

Lo studio di Price O. et al. [17], attraverso un’analisi qualitativa con interviste semi-strutturate, si è posto l’obiettivo di ottenere la descrizione da parte del personale, delle tecniche di de-escalation utilizzate. Sono stati esplorati le barriere e i fattori percepiti abilitanti all’attuazione delle tecniche di de-escalation. Sono stati selezionati 10 reparti, di cui solo 5 hanno accettato di partecipare. Sono stati intervistati coloro che lavoravano nel reparto con almeno 6 mesi di esperienza. I partecipanti hanno descritto 14 tecniche utilizzate in risposta all’aggressione, classificate in 3 categorie: (a) supporto, (b) controllo non fisico, (c) controllo fisico. Tale studio fornisce un quadro per comprendere la relazione tra comportamento del paziente, influenze ambientali e risposta del personale. Lo studio di Mary Lavelle et al. [18], invece, identifica con un’analisi retrospettiva, la sequenza di eventi che precedono la de-escalation, nei reparti psichiatrici ospedalieri.

Sono state valutate le caratteristiche del paziente e dell’ambiente che influenzano l’utilizzo delle tecniche. Sono stati selezionati 522 pazienti delle unità psichiatriche. Per ogni paziente è stato registrato il coinvolgimento durante i conflitti. Più della metà (53%) ha messo in atto atteggiamenti aggressivi nei confronti del personale entro le prime due settimane di ricovero. Nel 60% dei casi la de-escalation ha avuto successo, ma è la più complicata con i soggetti aventi una storia pregressa di aggressività, per cui si richiede l’uso dei farmaci PRN. Infine, in uno studio etnografico di Berring L. et al. [19], si descrive come i pazienti e i membri del personale (N=41) definissero situazioni violente, e come attribuissero un significato al flusso di azioni in situazioni di de-escalation. L’analisi ha indicato che sia il personale che i pazienti aspiravano a raggiungere relazioni non conflittuali mentre interagivano in situazioni minacciose.

 

DISCUSSIONE

La presente revisione ha l’obiettivo di valutare l’efficacia delle tecniche di de-escalation per gestire gli agiti aggressivi del paziente psichiatrico. Le 14 tecniche di de-escalation oggetto di indagine nello studio di Price O. et al, sono applicate su un continuum che và dal supporto al controllo e si suddividono in: 6 tecniche dette di “Supporto” (intervento passivo, rassicurazione, distrazione, problema identificazione, risoluzione, riformulazione) con lo scopo di consentire al paziente di utilizzare le proprie risorse per autoregolare l’aggressività; 4 tecniche di “Controllo non fisico” (manipolazione ambientale, rimprovero, deterrenti, istruzione) con interventi più autorevoli che hanno esplicitamente affermato il controllo del personale nel contenere comportamenti dannosi;  4 tecniche di “Controllo fisico” (medicinali psicotropi , isolamento, contenimento, psicotropi intramuscolari forzati) con lo scopo di eliminare ulteriori aggressioni attraverso l’applicazione di pratiche restrittive. Le decisioni di adottare tecniche di controllo non fisiche sono state influenzate da: funzione percepita dell’aggressività, trial-and-error, rituali e routine locali che riguardano la gestione dell’aggressività, rischio e conoscenza del paziente. Il personale riscontra che se venissero messe in atto tecniche di controllo non fisico più efficaci, potrebbero portare ad un’escalation più elevata con conseguente utilizzo di pratiche restrittive. Inoltre si è riscontrato che la de-escalation risulta inefficace se messa in atto con pazienti aventi disturbi di personalità. I fattori ambientali e organizzativi risultano essere influenti nella buona pratica del controllo non fisico. I dati ottenuti da questo studio sono stati generati dalla sintesi delle opinioni e delle esperienze dei partecipanti. Questo potrebbe non fornire delle prove esaustive sui risultati, ma la ricerca rappresenta comunque, un punto di partenza per gli studi futuri. Inoltre, per limitare l’eterogeneità del campione e per renderlo quanto più rappresentativo possibile, è stato incluso solo il personale che aveva esperienza nelle tecniche di de-escalation ed è stato escluso, invece, il personale manager di reparto. Questo può aver omesso dati potenzialmente rilevanti. Un’ulteriore limitazione riguarda la concettualizzazione delle tecniche di de-escalation. In particolare, i partecipanti allo studio hanno visto le tecniche di“controllo non fisico” come coercitive e parte importante del processo di de-escalation. È possibile, quindi, che i partecipanti, abbiano concepito in modo impreciso le tecniche di de-escalation, come un intervento terapeutico coercitivo piuttosto che psicosociale. È probabile che una maggiore formazione ai partecipanti su queste tecniche, avrebbe dato risultati più esaustivi e importanti approfondimenti sulle realtà cliniche in cui vengono utilizzate. Ad esempio, come e perché vengono selezionate dal personale alcune tecniche, la relazione tra i due livelli di intervento, supporto e controllo non fisico, e la riuscita o l’uso di pratiche restrittive. Inoltre, capire quando e perché cessano di essere utilizzate le tecniche di supporto avrebbe dato prove importanti per ridurre la violenza e l’uso di queste pratiche. Tuttavia la formazione attuale riguardo le tecniche di de-escalation appare poco consona per permette al personale di regolare e gestire l’ansia con conseguente corretta messa in atto dell’intervento.  Lo studio di Mary Lavelle et al. [18], identifica gli eventi che precedono la de-escalation nei reparti psichiatrici, valutando le caratteristiche del paziente e dell’ambiente che influenzano l’utilizzo delle tecniche, ha portato alla luce che più della metà dei pazienti (53%) ha messo in atto atteggiamenti aggressivi nei confronti del personale e nel 60% dei casi la de-escalation ha avuto successo, anche se  risulta più complicata con i soggetti aventi una storia pregressa di aggressività, dimostrando che una scarsa fiducia nell’efficacia di queste tecniche quando il rischio di violenza è maggiore. Lo studio, va a confermare i dati presenti in letteratura, per cui molte volte gli infermieri vivono la violenza come“normale” e questa “normalizzazione” rende difficile l’identificazione della gravità della problematica[20]. Nello studio di Mary Lavelle, infatti, eventi che verrebbero classificati come di de-escalation non sono considerati incidenti significativi da parte degli infermieri. Inoltre, questo studio è un’analisi retrospettiva su un campione di pazienti consenzienti, e ciò potrebbe non fornire un quadro accurato della realtà clinica. Un’altra criticità identificata dall’autore è riferita all’intervallo di tempo analizzato. Viene analizzato ciò che accade di un turno di lavoro, perdendo possibili relazioni tra eventi che si verificano distanti nel tempo. Diventa, perciò, fondamentale incrementare una formazione per migliorare la fiducia nel personale ad utilizzarla e nel rilevare i sintomi prodromici dell’agito aggressivo, in quanto l’efficacia della de-escalation è ottimale se viene messa in atto all’inizio del ciclo dell’aggressività.

L’ultimo studio selezionato, condotto da Berring L. et al. [15], descrive il modo in cui i pazienti e il personale sanitario definiscono situazioni violente e il significato che ne è attribuito. Attraverso lo studio etnografico e multiplo, i partecipanti sono stati incoraggiati a contattare il ricercatore dopo aver riscontrato una situazione di de-escalation. Dopo aver riferito una situazione del genere, il primo autore avrebbe condotto delle interviste per indagare sul caso. L’analisi ha indicato che sia il personale che i pazienti aspiravano a raggiungere relazioni pacifiche quando interagivano in situazioni violente. Inoltre, lo studio ha anche rivelato come tutte le parti usassero gli stessi schemi di base nel definire le situazioni. A tal proposito, le soluzioni di de-escalation venivano definite: (a) sulla base di credenze mentali esistenti, (b) le credenze venivano cambiate, perché si rifletteva su ciò che aveva portato alla situazione e si raggiungeva un apprendimento. I ricordi di situazioni vissute creavano aspettative anticipatorie nel paziente e queste avevano un impatto nel definire la situazione attuale. Perciò, la conoscenza del paziente e il suo passato possono garantire la possibilità di agire nel modo più adeguato e tempestivo in momenti di agitazione. Risulta, dunque, quanto sia importante il momento riflessivo, in quanto porta il paziente a creare pensieri positivi della situazione e promuovere la risoluzione dei problemi. Nello studio di Berring la visione dell’interazione sociale è su piccola scala, ma fornisce delle informazioni utili su come le esperienze passate influenzano le presenti nella pratica clinica. Pertanto, lo studio approfondisce le pratiche organizzative per comprendere meglio i comportamenti violenti e minacciosi.

 

 

LIMITI

Il presente studio aiuta a comprendere i comportamenti violenti ma non è esaustivo sul fenomeno indagato e necessita di una più approfondita analisi. Il lavoro presenta alcuni limiti. È stata presa in considerazione solo la letteratura più recente degli ultimi 10 anni e sono state interrogate le banche dati PubMed ed EMBASE, non coinvolgendo quelle minori. Il campione di studi era orientato verso specifiche popolazioni e questo fattore può aver ridotto la generalizzabilità dei risultati.

 

CONCLUSIONI

L’obiettivo di questa indagine era quello di valutare l’efficacia delle tecniche di de-escalation, per la prevenzione e la gestione degli agiti aggressivi nei confronti del personale sanitario. Gli operatori della salute mentale reagiscono in modo diverso alla violenza. Alcuni si relazionano con i pazienti in modi che producono soluzioni positive [21], mentre altri gestiscono i pazienti con misure coercitive. È emersa l’efficacia dell’utilizzo delle tecniche di de-escalation nella gestione degli agiti aggressivi. Tuttavia, emerge che un’adeguata formazione del personale, può garantire interventi in più tempestivi e rendere gli infermieri nella gestione dell’agito aggressivo. Infatti, si nota che la de-escalation è efficace previa conoscenza del paziente, delle sue patologie e dei segni che possono indicare l’insorgenza di un comportamento aggressivo, da poter applicare le tecniche fin dal primo momento. Vi è il bisogno di formulare ipotesi di miglioramento qualitativo delle situazioni di rischio e di aggiornare le competenze professionali dell’infermiere, attraverso corsi di formazione in cui introdurre approcci di gestione del paziente. Inoltre, potrebbe essere interessante indagare il tasso di denunce e segnalazioni degli operatori sanitari all’autorità giudiziaria, a causa degli attacchi violenti e delle conseguenze fisiche. Secondo alcuni studi, non sono state registrate denunce [22,23] e questa osservazione potrebbe suggerire che l’aggressione da parte di un paziente può essere giustificata da un operatore sanitario, a differenza della violenza perpetrata da persone sane.

Questo potrebbe portare a pensare che già durante la situazione di escalation ci sia una predisposizione passiva dell’infermiere nei confronti del paziente. Dai dati presenti in letteratura risulta che anche le attitudini degli infermieri siano un elemento importante da prendere in esame se si vogliono ridurre gli episodi di violenza. Tutto questo porta la nostra attenzione sul concetto di prevenzione, sull’offrire una formazione del personale sanitario sulle modalità comunicative e di gestione e sul dare un supporto psicologico ed una preparazione psicologica per accrescere la consapevolezza delle proprie reazioni ed emozioni di fronte al rischio di violenza. Si potrebbe, quindi, rendere l’operatore più preparato a prevedere e gestire le situazioni di pericolo, non solo per “essere in grado” ma anche per “sentirsi in grado” di affrontarle, con un esito efficace.

 

Abbreviazioni
NICE (National Institute for Health and Care Excellence)

Acting-out (passaggio all’atto)

PRN (Pro re nata)

PIO (Population, Intervention, Outcome)

 

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