La violenza vista dagli infermieri di psichiatria: esperienza di un’indagine qualitativa

Pisani F.1, Ottaiano D.2, Scarfiglieri G.3, Maglione R.4, Perrone M.5, Serio C.6

  1. Infermiere
  2. Infermiere
  3. Studente L.M. Scienze delle Professioni Sanitarie della Prevenzione, Università degli Studi di Napoli Federico II
  4. Infermiere, Azienda Ospedaliera Universitaria, Federico II di Napoli
  5. Infermiere,  Azienda Ospedaliera Universitaria, Federico II di Napoli
  6. Ostetrica

DOI: 10.32549/OPI-NSC-14

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Abstract

Introduzione: Oggigiorno assistiamo ad una costante escalation di episodi di violenza nei confronti dei professionisti della salute; sempre di più sono gli infermieri vittime di tali episodi. Vi è però una branca della medicina che sembra aver offuscato tale attenzione mediatica, ovvero sembra quasi che non se ne parli: la psichiatria. Eppure gli Infermieri dedicati all’assistenza di pazienti con patologie psichiatriche sembrano essere maggiormente esposti a tale tipo di violenza.

Metodo: indagine qualitativa basata sul metodo descrittivo interpretativo descritto da Thorne

Risultati: dall’analisi dei dati sono emersi i seguenti temi: la definizione di violenza (da cui si sviluppano i sottotemi di percezione del rischio e tendenza all’autodifesa da parte degli operatori), fattori che influenzano la gestione del paziente violento (ossia la condizione clinica del paziente, le skills degli operatori ed i fattori dell’organizzazione del SPDC), gli esiti dei fenomeni di violenza (a breve, medio e lungo termine) ed infine la richiesta di supporto.

Conclusioni: I fenomeni di violenza a danno degli operatori sanitari sono in costante aumento ma nell’ambito psichiatrico essi sono una costante che dai dati risulta fortemente sottostimata. La violenza di un paziente su un infermiere può avere differenti risvolti, da esiti puramente fisici, ad esiti che prendono in considerazione la sfera emotiva degli operatori. Comprendere appieno come gli episodi di violenza siano vissuti dagli infermieri permetterà la creazione di percorsi educativi mirati e darà importanti nozioni per le elaborazioni di corretti piani gestionali.

Keywords: Violenza nei confronti dei professionisti della salute, metodo di Thorne, Competenze degli operatori sanitari

 

The violence seen by psychiatric nurses: experience of a qualitative investigation

 

Abstract

Introduction: Today we are witnessing a constant escalation of incidents of violence against health professionals; an increasing number of nurses are victims of these episodes. But there is a branch of medicine that seems to have been overshadowed in this media attention, where it almost seems as if we don’t talk about it at all: psychiatry. Yet nurses dedicated to the care of patients with psychiatric disorders seem to be more exposed to this type of violence.

Method: qualitative investigation based on the interpretative descriptive method described by Thorne

Results: from the analysis of the data the following themes emerged: the definition of violence (from which the sub-themes of risk perception and self-defence tendency are developed by the operators), factors that influence the management of the violent patient (i.e. clinical condition of the patient, the skills of the operators and the factors of the organisation of the SPDC), the outcomes of the phenomena of violence (short, medium and long term) and finally the request for support.

Conclusions: The phenomena of violence to the detriment of health workers are constantly increasing, but in the psychiatric area they are a constant that is strongly underestimated by the data. The violence of a patient towards a nurse can have different implications, from purely physical results, to outcomes that take into consideration the emotional sphere of the operators. To fully understand how the episodes of violence are experienced by nurses will allow the creation of targeted educational paths and will give important notions for the development of correct management procedures.

Keywords: Violence against health professionals, Thorne method, health professional skills

 

Introduzione

La violenza sul posto di lavoro è intesa come qualsiasi “incidente di aggressività fisico, sessuale, verbale, emotivo o psicologico che si verifica quando gli infermieri sono abusati, minacciati o aggrediti in circostanze legate al loro lavoro”1. Il tipo di violenza che colpisce maggiormente gli operatori sanitari è quella proveniente dai pazienti e dai loro caregiver,

Da dati ISTAT11, gli infortuni sul lavoro denunciati dalla Professione Infermieristica sono di 13.375 (non classificati per forma di accadimento), in diminuzione del 3,83% rispetto al 2014

Gli Infermieri dedicati all’assistenza di pazienti con patologie psichiatriche presentano, rispetto ai loro colleghi, un maggiore rischio di subire una violenza sul posto di lavoro (3-4) ed infatti, per questa categoria, sono stati registrati più alti tassi di segnalazioni seguenti a violenza dei pazienti (2-5-6) (dal 25% all’80% degli infermieri che lavorano in servizi ospedalieri per pazienti psichiatrici in fase acuta riferisce di aver sperimentato fenomeni di violenza (7-4-8)). Inoltre la stessa letteratura ipotizza un’importante sottostima di tali eventi (6-7-9).

L’esposizione a qualsiasi tipo di violenza, a breve o a lungo termine, può determinare effetti negativi per l’organizzazione generale e per gli infermieri10, effetti che si possono presentare sia nella sfera personale, sia professionale, oltre ad effetti negativi in termini economici, sociali e di qualità delle cure prestate11. Per gli infermieri sono state riscontrate conseguenze di ordine psicologico e fisico. Nella sfera psicologica rientrano: stress, insicurezza sul posto di lavoro, minor soddisfazione inerente la sfera lavorativa, maggiore incidenza a mobilità inerenti il luogo di lavoro e diminuzione della qualità di vita del professionista. La letteratura annovera anche dei risultati positivi, come una consapevolezza maggiore della inerente sicurezza sul lavoro ed un atteggiamento più positivo rispetto ai colleghi10.  Per ciò che riguarda la sfera fisica, sono state riportate lesioni e disabilità temporanee o permanenti10.

Tra le conseguenze riscontrate a livello organizzativo rientrano maggiori tassi di trasferimento del personale (12-13), aumenti dei costi sociali legati agli infortuni sul lavoro, diminuzione della qualità delle cure per i pazienti ed inoltre elevati tassi di errori inerenti l’assistenza infermieristica e medica (10-14-15).

Secondo la legislazione Italiana, gli episodi di violenza contro gli operatori sanitari devono essere considerati come eventi sentinella e, di conseguenza, richiedono la messa in atto di opportune iniziative di protezione e prevenzione3; infatti, all’interno del “Protocollo di monitoraggio degli eventi sentinella 5° Rapporto (Settembre 2005 – Dicembre 2012)”,la Psichiatria è descritta come area ad alto rischio di atti di violenza a danno degli operatori e come quarta causa di evento avverso sul territorio nazionale (165 casi pari al 8,6%)16.

Nonostante l’importanza di tale fenomeno, poca attenzione è stata posta dalla letteratura e di numero esiguo sono gli studi che si approcciano a questo argomento con un’impronta qualitativa, esplorando il vissuto, le emozioni e le conseguenze che tale evento può avere sugli infermieri.

Obiettivo

Scopo dello studio consiste nell’analisi della percezione, da parte degli infermieri, della violenza subita ad opera dei pazienti psichiatrici e i conseguenti esiti personali e professionali

 

Materiali e Metodi

Lo studio vuole descrivere il vissuto degli infermieri psichiatrici inerente la violenza subita. Lo studio di ricerca qualitativa si basa sul metodo descrittivo interpretativo descritto da Thorne17. Tale metodologia ha permesso l’iniziale comprensione di come diversi modelli di assistenza e di organizzazione infermieristica possano influenzare la risposta di un infermiere al fenomeno della violenza17.

Lo studio è stato autorizzato dal Responsabile del Servizio dell’azienda. I soggetti partecipanti hanno ben compreso e firmato il modulo di consenso informato nel quale venivano spiegate le finalità dello studio e la metodologia di conduzione. Ogni soggetto era libero di rinunciare o ritirarsi in qualsiasi momento senza dover fornire alcuna spiegazione e senza che tale decisione influenzasse la sua vita professionale. Lo studio rispetta la dichiarazione di Helisnki18. Il consenso informato, ai fini della partecipazione allo studio è stato sottoscritto da tutti i partecipanti immediatamente prima di sottoporsi alla compilazione del questionario “anagrafico-professionale” e dell’intervista basata su un questionario semi-strutturato.

 

Campionamento

Lo studio è stato condotto nel contesto del SPDC (Servizio psichiatrico diagnosi e cura) afferente all’ASL Avellino, situato presso il P.O “A. Landolfi” di Solofra (AV). Il campionamento è stato di tipo propositivo, e a far parte dello studio, sono stati ammessi solo coloro che soddisfavano i seguenti requisiti:

  1. Personale Infermieristico Coinvolto in fenomeni di violenza da parte dei propri assistiti in ambito psichiatrico
  2. Comprensione e firma del consenso informato
  3. 5 (Cinque) Anni di esperienza minimi in ambito psichiatrico
  4. Comprensione corretta della lingua italiana

Non sono stati presi in considerazione, ai fini dello studio, gli infermieri che rispondevano ai seguenti criteri di esclusione:

  1. Personale infermieristico non coinvolto in fenomeni di violenza da parte dei propri assistiti in ambito psichiatrico
  2. Assenza del Consenso Informato
  3. Meno di 5 anni di esperienza in ambito psichiatrico

In tale studio è stata presa in considerazione la definizione di violenza data dalla “Registered Nurses’ Association of Ontario”19, poiché permette di analizzare il fenomeno attraverso una visione olistica.

Il campione si compone di 11 infermieri.

 

Strumento

I dati sono stati raccolti in un periodo di tre mesi nel 2017 (Giugno – Agosto) utilizzando una scheda anagrafico-professionale, per l’analisi della stratificazione del campione, e un’intervista audio-registrata, basata su un questionario semi-strutturato già presente in letteratura internazionale19, in presenza del ricercatore principale, eseguita all’interno della struttura ospedaliera subito dopo la fine dell’orario lavorativo. La durata media delle interviste è di circa 25 minuti.

Quasi tutti gli intervistati, nonostante l’invito a descrivere gli incidenti più esplicativi della propria carriera professionale, hanno preferito soffermarsi durante l’intervista sulla descrizione di un unico incidente di violenza da parte dei pazienti in ambito psichiatrico avvenuto durante l’orario di lavoro. Solo un partecipante allo studio ha descritto più di un incidente.

 

Analisi dei dati

Le interviste, raccolte con audio-registrazione, sono state ascoltate e trascritte dal ricercatore principale. Durante le stesse l’intervistatore è stato attento ad analizzare la mimica dei partecipanti al fine di comprendere le emozioni che il ricordo poteva suscitare in essi. Le narrazioni raccolte sono state suddivise in schemi, raggruppandole secondo la domanda posta al partecipante. In seguito attraverso un approccio selettivo e l’utilizzo di un metodo comparativo finalizzato al confronto tra i dati raccolti, sono state individuate le tematiche principali ed i legami con gli eventi narrati. I dati emersi sono stati costantemente rianalizzati durante lo svolgimento dello studio al fine di verificare che non vi siano stati cambiamenti in divenire nelle tematiche riscontrate.

Al fine di ottenere dei risultati che corrispondessero alla verità, il Primo Intervistatore durante lo svolgimento dello studio ha attuato una sospensione del proprio giudizio (bracketing) accantonando le proprie credenze e opinioni sulla tematica oggetto dello studio. L’analisi dei dati è stata sottoposta ad un riesame da parte di altri ricercatori, non vi è stato alcun elemento di disaccordo. Non sono stati utilizzati software di analisi qualitativa dei dati.

 

Risultati

Il campione in esame è composto da infermieri che prestano servizio presso il SPDC afferente all’ASL Avellino e situato presso il P. O. di Solofra (AV) “A. Landolfi”. Il servizio, come affermato dai partecipanti, offre 16 posti letto, di cui 2 riservati per pazienti provenienti dall’Alta Irpinia (territorio afferente all’ex ASL Avellino1). Durante il turno di lavoro, viene affermato che sono presenti 3 unità infermieristiche ed 1 OSS che non è presente durante il turno di notte.

I partecipanti allo studio sono stati 11 (undici) (tab 1), dei quali 8 (otto) Maschi e soli 3 (tre) femmine, la fascia di età prevalente è 41-50 anni, con una media di anni lavorativi in ambito psichiatrico compresa tra 5-10 anni.

Fra gli infermieri che hanno acconsentito di partecipare allo studio, quattro avevano un Diploma di Istruzione secondaria di Secondo grado e lo stesso numero di Unità ha conseguito la Laurea Triennale: differentemente un infermiere ha conseguito il Diploma Universitario e due infermieri presentavano un titolo di Laurea Magistrale

Nessun Infermiere partecipante allo studio ha conseguito un Master in “Infermieristica in Salute Mentale-Psichiatrica”. Il 64% dei partecipanti ha affermato di aver partecipato a Corsi di Formazione specifici per la gestione dei pazienti ma non vi è stata “una formazione prima dell’immissione al servizio come fanno gli altri Paesi Europei”. Tutti gli infermieri affermano che durante la gestione di eventi di violenza non sono stati utilizzati protocolli.

Dall’analisi dei dati si evince che 9 infermieri hanno subito violenza fisica durante la loro esperienza lavorativa svolta in ambito psichiatrico, 7 indicano di essere stati vittima di violenza verbale, un solo infermiere riferisce di aver subito violenze razziali e nessun infermiere ha indicato di esser stato vittima di violenze sessuali.

Durante le interviste, gli infermieri hanno descritto un totale di 12 eventi di violenza, concentrandosi su violenze fisiche che si sono presentate con uso di calci e pugni ma anche di oggetti, arredamenti contundenti (suppellettili ed arredamento) o armi (coltelli). Le violenze fisiche si sono presentate sempre in combinazione con violenza verbale che si è espressa attraverso minacce, insulti ed intimidazioni.

Il 58% dei casi ha interessato pazienti ricoverati in regime di TSO mentre la restante percentuale ha interessato pazienti indicati come stati di Urgenza; infine i pazienti che si ricoverano Volontariamente non sono responsabili di casi di violenza.

Tabella 1

NOTE: Sesso (M: maschio; F: femmina); Istruzione (SS: diploma di scuola secondaria di secondo grado; DU: diploma universitario; LT: laurea triennale; LM: laurea Magistrale): Violenza (FIS: fisica; VER: verbale; RAZ: razziale; SES: sessuale): REGIME RICOVERO PAZIENTE (TSO: trattamento sanitario obbligatorio; URG: urgente; VOL: volontario)

SESSO ETA’ ISTRUZIONE ESPERIENZA LAVORATIVA ANNI DI SERVIZIO IN PSICHIATRIA FREQUENZA CORSI DI FORMAZIONE USO PROTOCOLLI VIOLENZA SUBITA ORARIO EVENTI REGIME RICOVERO PAZIENTE
1 M >50 SS >10 >10 SI NO FIS NN TSO
2 M 41-50 SS >10 >10 SI NO FIS-VER 7:01-13:00 URG
3 M >50 SS >10 >10 NO NO FIS-VER 7:01-13:00 TSO
4 M 41-50 DU >10 5–10 SI NO VER 7:01-13:00 TSO
5 M 41-50 LM >10 5–10 SI NO FIS-VER 13:01-18:00 URG
6 F 26-30 LM 6 –10 5–10 SI NO FIS-VER 18:01-24:00 TSO
7 M 31-40 LT 6–10 5–10 NO NO FIS NN URG
8 F >50 SS >10 >10 SI NO FIS 00:01-07:00 URG
9 F 41-50 LT >10 5–10 SI NO VER 18:01-24:00 TSO
10 M 31-40 LT 6–10 5–10 NO NO FIS 00:01-07:00 TSO
11 M 31-40 LT 6–10 5–10 NO NO FIS-VER-RAZ 13:01-18:00 TSO

 

Temi

I temi e relativi sottotemi riscontrati a seguito dell’analisi dei dati sono i seguenti:

 

 Definizione di violenza

Ognuno degli infermieri ha fornito una propria interpretazione di violenza nel paziente psichiatrico, anche se ciò non ha portato aduna definizione precisa di violenza:

“Una definizione universale di violenza credo non ci sia…” (infermiere 2)

“È indefinibile da un certo punto di vista, è indescrivibile” (infermiere 6).

Nelle  interviste viene più volte ripetuto il concetto che “la violenza in un paziente psichiatrico non esiste” (infermiere 4) quindi “non puoi dire che il paziente è violento” (infermiere 11) ed anche se molti dei pazienti vengono ricoverati a causa di fenomeni di violenza che possono essere descritti come “un comportamento non adeguato, aggressivo, fuori le regole della società che può provocare danni sia morali che fisici alla persona con cui si interagisce” (infermiere 9): per la maggior parte degli infermieri ciò è un “sintomo, un segno” (infermiere 6) espressione di un “meccanismo di difesa” (infermiere 4).  Tutti gli operatori convengono che l’atto di violenza sia “uno stato transitorio” (infermiere 3) dovuto ad “un discontrollo […] dei suoi impulsi” (infermiere 1). Solo 4 infermieri analizzano la causa che possa portare a manifestazioni di violenza da parte del paziente, ed essi affermano che sono differenti i fattori scatenanti la violenza come riferito da uno di essi:

“Se noi la vogliamo riportare ai livelli di violenza che possiamo vedere qui dentro, ci possiamo chiedere anche quale è la molla che fa partire la violenza. Fondamentalmente, secondo me, perché si arrivi alla violenza, c’è un mix, ci sono caratteristiche personali, c’è una patologia, che casomai può influenzare, c’è un momento. Queste tre caratteristiche bene o male fanno si che una cosa possa succedere o no.” (Infermiere 6)

  • Rischio intrinseco

L’Analisi parallela delle interviste ha messo in luce come i fenomeni di violenza in ambiente psichiatrico costituiscano una routine, che inizialmente può avere un impatto emotivo sull’operatore, ma, con l’esperienza, tale impatto tende a scemare. La violenza verbale non viene percepita, ma viene sminuita, non considerata un pericolo; di conseguenza gli intervistati non considerano tali episodi come eventi sentinella da segnalare alle autorità competenti.

Dalle interviste è emerso che anche la violenza fisica, dal momento che è considerata intrinseca al contesto in cui gli operatori prestano servizio, non sia stata mai segnalata come un evento sentinella, nonostante ne sia riconosciuto il potenziale pericolo:

“Un ambiente ad alto rischio di etero o auto-aggressività, deve mettere in conto certe cose, per forza,” (Infermiere 6).

  • L’autodifesa degli operatori sanitari

In tutti i casi osservati, l’infermiere, durante gli eventi di violenza, assuma atteggiamenti tali da preservare la propria salute a scapito della cura dei pazienti. Ciò è stato affermato in modo estremistico dall’Infermiere 8 con le seguenti parole:

“Io dico sempre: “se l’aggio acchiappa l’acchiappo e se le devo dare le dò”. Anzi, ci tengo a dire, nel periodo di violenza o momento di violenza, io dico sempre “Vita mia, morte tua”, non si dovrebbe dire, ma visto che il paziente in quell’attimo non ha ragione, […] quindi mi difendo alla meglio.”

 

Fattori che influenzano la gestione del paziente violento

Dalle interviste sono emerse tre tipologie di fattori che incidono sulla corretta gestione del paziente violento: il paziente e la sua diagnosi, l’operatore e le sue skills ed infine l’organizzazione del servizio di assistenza.

  • La condizione clinica del paziente

Dall’analisi e dal confronto delle interviste non emerge una tipologia particolare di paziente che possa essere etichettato come “violento”. Tuttavia è stata riscontrata una certa riluttanza da parte degli intervistati a considerare “psichiatrici” i pazienti con disturbi di personalità (Cluster B) e quelli con dipendenza da sostanze stupefacenti. Da ciò è dipesa la separazione, da parte degli infermieri, tra il disagio mentale e l’atto violento, con una conseguente maggiore intolleranza di quest’ultimo***21.

Esistono diverse motivazioni che spingono il paziente ad essere violento. La principale motivazione è la sofferenza al ricovero manifestata soprattutto nei pazienti in regime di TSO (58%), a cui si affiancano altre cause scatenanti come le allucinazioni. Solo in pochissimi casi non viene identificata una vera causa ciò è presente in quei pazienti con discontrollo degli impulsi.

Un solo infermiere ha preso in considerazione la valutazione della storia clinica del paziente al fine di prevenire fenomeni di violenza:

“Una cosa è avere a che fare con un paziente che ha avuto una colluttazione e una cosa è un paziente che puoi gestire diversamente, perché un paziente che con una collega ha avuto una colluttazione, tu verso quel paziente ti poni in una maniera diversa, come dicevo prima. Stai attento a non dargli le spalle, stai attento a vari aspetti, però mai far capire al paziente che possa prendere il sopravvento su di te, sui colleghi e sul turno” (Infermiere 10)

  • Le skills degli operatori

La gestione dei pazienti violenti viene influenzata dai fattori individuali degli operatori, i quali durante gli scontri si trovano ad agire sul piano personale, non mettendo in atto le seppur scarse conoscenze acquisite.

Tutti gli infermieri affermano che la prevenzione primaria di un evento di violenza si basa sul dialogo con il paziente:

“Individualmente, rispetto alla situazione, poi dipende dalla singola situazione, si cerca indubbiamente di lavorare tutti insieme, con gli altri operatori, cercando di non toccare quei tasti che potrebbero far aumentare ancora di più il disagio del paziente e quindi mantenerlo sia ad una certa distanza ma facendogli anche capire che se è venuto per ricoverarsi per cercare di migliorare il suo stato morale magari, si cerca di far capire con il dialogo, nei limiti del possibile.” (Infermiere 2)

Differentemente viene condannato un approccio severo poiché aumenta il rischio che si verifichino fenomeni violenti:

“i fattori che possono incrementare il rischio di violenza, è soprattutto il fatto che per forza si vuole sopraffare il paziente, esserci una specie di competitività con il paziente nel senso che “io sono il più forte e tu il più debole, devi stare qua e fare quello che dico io”, anche se tu lo fai, anche se viene fatto, però non deve essere fatto in modo, duro, che puoi far si che il paziente già girato per i fatti suoi, e ti metti in competizione dicendo “ ma chi si, ma chi non si”, questo può andare, anche se non lo fai, può succedere lo stesso che il paziente  diventi violento, ma questo è un errore, secondo me, e in molti casi succedono colluttazione per questo fatto qua. Una sorta di competitività con il paziente, perché io sono il più forte, tu sei nessuno perché stai in TSO, sei un pazzo scatenato e devi fare quello che dico io”. (Infermiere 10)

  • I fattori dell’organizzazione del SPDC

L’organizzazione del SPDC assume per ogni infermiere il ruolo da protagonista sia nella prevenzione, sia nella gestione di pazienti violenti.

Collaborazione tra professionisti

L’elemento predominante è la comunicazione, intesa sia all’interno dell’equipe sanitaria, sia tra quest’ultima ed i servizi di emergenza territoriali.

Nelle interviste è sottolineata la necessità della presenza del medico all’interno del reparto per favorire l’arginare degli eventi avversi:

“Non è corretto che i medici siano fuori dal reparto, […] perché anche il medico stando di fuori non vive il vero e proprio paziente, lo viviamo noi, perché siamo noi a contatto con il paziente tutte e 6 ore, tutte e 12 ore, ma il medico lo vede solo se ha un colloquio o se viene informato da noi, oppure se viene in reparto a fare un giro, ma il vero e proprio contatto con il paziente lo abbiamo noi, sta più con noi che con loro. Secondo me stando in reparto, il medico potrebbe valutare di più anche in alcuni casi dove la violenza del paziente prima che accada, perché lo vede.” (Infermiere 11)

Assenza di protocolli

La mancanza di protocolli segnalata dagli intervistati comporta inevitabilmente “Un’Improvvisazione dell’assistenza” (Infermiere 1) e l’assenza di una reale consapevolezza dell’attività svolta:

 “Il rischio di violenza è aumentato da una disorganizzazione generale e anche da una disorganizzazione interna: quando un ambiente di lavoro è disgregato si è esposti più a rischio, quando un ambiente è compatto il rischio diminuisce.” (Infermiere 6)

È emerso inoltre il bisogno di avere in servizio un numero adeguato di unità infermieristiche ed il bisogno della presenza di presidi adeguati per lo svolgimento delle attività in sicurezza.

 

Gli esiti dei fenomeni di violenza

Gli infermieri che hanno partecipato allo studio, durante l’intervista, hanno espresso delle reazioni all’evento traumatico simili tra loro.

  • A breve termine

Inizialmente, nello specifico durante l’evento, non sono state descritte delle vere e proprie emozioni come viene affermato:

Hai scariche adrenaliniche” (Infermiere 1)

Non si provano emozioni, si cerca di fare quello che si deve fare, non è che ti emozioni, altrimenti sei fregato” (Infermiere 4)

Non ho provato nessuna emozione, non è stato stressante: perché è il mio modo di essere. Quando lavoro in SPDC sono privo di emozioni soprattutto in questi tipi di situazioni” (Infermiere 3)

“In questi ambienti l’operatore deve comunque montarsi una testa, avere una forma mentis, […] la cosa difficile in psichiatria è staccare la paura, perché altrimenti non ti rapporti più alla persona per prestarle aiuto, ma stai attento alla persona, ma non valuti bene la cosa. […] gestire le cose con emozioni che alla fine ti mette nel rischio” (Infermiere 6).

In questi casi gli operatori hanno affermato che non vi è una vera e propria preparazione in queste situazioni, ma il tutto viene influenzato dal carattere della persona. Il bisogno comune espresso è quello di gestire l’evento affinché non ci siano traumi per gli operatori, il paziente stesso o gli altri pazienti che possono essere coinvolti nella colluttazione, al meglio espresso dall’Infermiere 11:

“A caldo penso solo a mettere in sicurezza il paziente e di non avere la peggio […] un vero e proprio impatto in quel momento tu non lo puoi avere, perché in quel momento tu non pensi a nient’altro che a salvaguardare l’ambiente la salute tua e dello stesso paziente, non c’è un impatto vero e proprio perché tu in quel momento non hai il momento di pensare, in verità.”

Appena dopo l’evento, alcuni intervistati hanno riferito di aver provato emozioni quali paura e rabbia (effetti a breve termine), come descritto dall’Infermiere 9:

“Dopo bloccato il paziente e messo in sicurezza con contenzione chimica e contenzione meccanica, forse allora mi è venuta la paura, cioè la paura che qualcosa poteva sfuggire dal controllo, ci potevamo fare del male, la paura e probabilmente anche la rabbia; perché un infermiere non è preparato a subire violenza quando va sul posto di lavoro.”

Alcuni infermieri hanno espresso un senso di inadeguatezza all’ambiente, che può portare ad un risentimento emotivo con “Stanchezza Mentale” (Infermiere 9) e quindi aumentare il rischio di Burn out, che maggiormente si verifica nelle helping professions.22

A seguito degli eventi, alcuni professionisti si sono interrogati in merito a ciò che hanno vissuto ed a come hanno reagito. l’Infermiere 10 ha affermato:

 “L’impatto immediato è “ma dove so capitato?”, perché non ero preparato ad affrontare questa tipologia di paziente, disorientato, diciamo preso alla sprovvista, perché a non avevo mai affrontato una situazione del genere”:

ed anche l’Infermiere 7 ha precisato:

“Prima di tutto, quando hai subito violenza, un po’ di riposo e un po’ di riflessione, in che senso. Quando hai subito violenza, “ho agito bene o ho agito male?” una domanda te la devi fare. “Ho sbagliato oppure potevo fare quest’altra cosa”, puoi chiedere al medico in quel momento cosa ho fatto perché ha reagito in quel modo il paziente e come mi sono mosso.”

  • A medio termine

A medio termine, gli eventi di violenza hanno avuto dei differenti risvolti sui diversi infermieri. Da alcuni è stata segnalata difficoltà a riprendere la quotidiana attività ed il rapporto con i pazienti, situazione che si è tradotta in “maggiore cautela nell’approccio con il paziente” (Infermiere 2), come testimoniato dall’Infermiere 6:

“Ma quando sono rientrato a lavoro, ho avuto una sensazione di timore, ho avuto una sensazione di difficoltà nel riprendere il rapporto con i pazienti”

Per altri infermieri l’evento è stato vissuto come un’esperienza utile ad identificare i segnali su cui porre l’attenzione al fine di evitare il ripetersi di episodi del genere:

“Prima di arrivare alla violenza fisica comunque si percepiscono i momenti quando il paziente comincia ad alterarsi” (Infermiere 9).

Tuttavia, come testimoniato dagli infermieri 5 e 6, non sono rari i casi in cui un episodio violento non sia preceduto da avvisaglie.

A differenza della violenza fisica, quella verbale non viene percepita come tale e di conseguenza gli intervistati non riferiscono di aver subito traumi psicologici in relazione ad essa.

  • A lungo termine

In generale, non sono stati riferiti traumi a lungo termine a seguito dei casi di violenza sia fisica che verbale e tanto meno è stato inficiato il corretto svolgimento dell’attività assistenziale da parte degli infermieri. Ciò è dovuto al fatto che, all’interno del contesto analizzato, gli atti violenti sono considerati parte della routine:

“Per esempio, subisci uno schiaffo o un’aggressione, però capisci che è ammalato, là per là e passa, […] è sempre un ammalato che ti aggredisce sia verbalmente, sia fisicamente. Quindi, dopodiché tu dando la terapia, si calma, ti chiede scusa, tu non è che gli dai tanto peso, se no qua dentro non puoi lavorare. Se ne risenti allora vuol dire che non è il tuo ambiente, perché l’ammalato questo è, questo è un pronto soccorso, quindi ti arrivano tutti casi sempre un po’ agitati e quindi ammalati violenti e puoi prendere uno schiaffo” (Infermiere 7);

“Quando succedono questi eventi ognuno di noi, purtroppo, ha subito un trauma, pure psicologico, Però il trauma passa perché hai capito che, il paziente che ha commesso questo evento in quel momento non era lui ma bensì poteva essere pure un’altra persona, aveva qualche sdoppiamento di personalità. Allora alla fine succede questo: quando succedono queste anomalie, uno deve pure mediare e capire le problematiche del paziente. Il paziente in quel momento se è cosciente può essere che ti venga a chiedere scusa oppure viceversa si accorge dell’errore, in un altro momento il paziente può non essere cosciente del comportamento.” (Infermiere 5)

 

La richiesta di supporto

Tutti gli intervistati hanno manifestato il bisogno, dopo l’evento traumatico, di supporto psicologico e di partecipare ad audit in modo tale da discutere l’accaduto e prevenire futuri incidenti.

“la possibilità di un colloquio con il medico per cercare di spiegare all’infermiere a che cosa è dovuta la colluttazione, quali potrebbero essere stati gli errori commessi dal medico, dall’infermiere nella gestione del paziente. Tentare di rassicurare l’infermiere che, si farà tutto il possibile che la prossima volta non succederà. Però sarà possibile, si sa che siamo a rischio di violenza però crescendo professionalmente spiegando la situazione” (Infermiere 9)

“…un supporto psicologico, su questo in note generale, perché purtroppo in ambiente sanitario, e anche nel nostro ambiente perché generalmente pure siamo messi a rischio, ci sarebbe bisogno di un aiuto istituzionalizzato cioè l’ASL ha un pull di psicologi e psichiatri, dove nel quale l’operatore ha bisogno si può chiaramente rivolgersi. Perché non è facile lavorare con la sofferenza degli altri, ma è possibile che ad un certo punto la persona distorce il pensiero, a non gestire più la sua sofferenza rispetto alla sofferenza che gli altri gli portavano” (Infermiere 6)

 

Discussione

Scopo dello studio è stato quello di indagare come gli infermieri, operanti in ambito psichiatrico, vivano gli episodi di violenza dei quali siano stati vittime, con l’obiettivo di analizzare quali siano i fattori che influenzano la gestione del paziente violento.

Dall’analisi dei dati raccolti non è stato possibile trarre una vera e propria definizione di Violenza unanimemente riconosciuta dai soggetti intervistati: le idee espresse sono state variegate, ma tutte sono accumunate da una tolleranza nei confronti dei pazienti. Infatti la violenza viene considerata come un’azione difensiva che il paziente manifesta e non riesce a controllarla. Tutti i partecipanti allo studio hanno sempre affermato che tale violenza non dipende dalla loro volontà. Tali definizioni vanno a confermare i risultati ottenuti nella ricerca di Smith e Hart23ed anche quelli presentati dall’ultimo studio su tale tema di Stevenson24. In contrasto con questi risultati, però vi è una parte dei partecipanti che ha mostrato di sviluppare un’intolleranza verso la violenza espressa in determinate categorie di pazienti, quali i tossicodipendenti e i Cluster B. Questi ultimi risultati vengono confermati da Jonker, Goossens, Steenhuis e Oud7, i quali affermano che gli infermieri percepiscono la violenza come inaccettabile, che inoltre non manifesta un bisogno di difesa ma espone ad alti rischi di danni il personale coinvolto. Ciò viene anche supportato dalla poca presenza in letteratura di forti evidenze che collegano tra loro la presenza di una patologia psichiatrica e l’espressione di caratteri di violenza26-31.

Dallo studio emerge una tendenza allo sviluppo di esiti negativi dell’evento violento a meglio termine, ossia al momento del rientro in servizio dell’infermiere. Questo dato non è confermato dalla letteratura per l’assenza di studi in riferimento a tale argomento.

Differentemente da quanto affermato da Malchior, Bours, Schmitz e Wittich19, lo studio riferisce l’assenza di effetti negativi a lungo termine (come strategie di coping negativo che, col tempo, possono portare al Burn Out) a vantaggio dello sviluppo di maggiore capacità di osservazione dei segni che precedono l’espressione di violenza.

l’ambiente lavorativo viene percepito come un costante rischio intrinseco accettato dagli infermieri intervistati, poiché inscindibile dal contesto lavorativo.

Significativa è la critica all’assistenza somministrata, che si traduce nel bisogno di introdurre protocolli secondo linee guida per prevenire e gestire le manifestazioni violente.

A conferma di quanto affermato dalla letteratura internazionale 10-26-27-28, gli incidenti di lavoro che coinvolgono i pazienti psichiatrici sono denunciati in minima parte, poiché considerati routine, quindi un rischio accettabile. Diversi studi dimostrano come questo atteggiamento sia presente anche in infermieri che impiegati in altri reparti ed in diversi Paesi29-30-31-32.

 

Conclusioni

I fenomeni di violenza a danno degli operatori sanitari sono in costante aumento ma nell’ambito psichiatrico essi sono una costante che dai dati risulta fortemente sottostimata. La violenza di un paziente su un infermiere può avere differenti risvolti, da esiti puramente fisici, ad esiti che prendono in considerazione la sfera emotiva degli operatori.

Questo studio mostra come gli infermieri che svolgono attività a contatto con pazienti psichiatrici siano maggiormente esposti a fenomeni di violenza. Consapevoli del rischio che si presenta come una caratteristica intrinseca all’ambiente psichiatrico, gli operatori non sviluppano segni di sofferenza né psicologicamente, né professionalmente conseguentemente ai fenomeni di violenza che li coinvolgono. Al contrario la continua esposizione a questo fenomeno ha temprato gli stessi, riuscendo a fargli acquisire quella capacità critica di riconoscere i segni che precedono gli acting-out aggressivi32.

Fondamentale per gli operatori è la presenza di un’adeguata organizzazione attraverso l’utilizzo di linee-guida e protocolli adattati al contesto specifico, la continua collaborazione di tutta l’équipe e l’utilizzo di presidi adeguati al fine di gestire i casi e diminuirne la frequenza. Importante, però, per gli stessi operatori è anche la fruizione di un supporto psicologico.

 

Punti di forza e limiti dello studio

Lo studio presenta delle limitazioni. Il campione preso in considerazione è un campione monocentrico. Un campione più ampio potrebbe includere una popolazione maggiormente variegata raggiungendo una diversificazione massima dei partecipati, che potrebbe offrire nuovi spunti di riflessione.

Anche se il campione comprende solo 11 partecipanti, sono stati descritti eventi differenti che hanno permesso una migliore analisi e confronto dei vissuti degli infermieri. La diversità delle esperienze è un punto di forza dello studio poiché sottolinea l’importanza del problema ed evidenzia, al contempo, come i risultati ottenuti in riferimento alle conseguenze degli eventi di violenza siano stabili all’interno del campione considerato.

 

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***Il DSM-IV-TR definisce un Disturbo di Personalità come “un modello di esperienza interiore e di comportamento che devia marcatamente rispetto alle aspettative della cultura dell’individuo, è pervasivo e inflessibile, esordisce nell’adolescenza o nella prima età adulta, è stabile nel tempo e determina disagio o menomazione. […] Si manifesta in almeno una delle seguenti aree: cognitività, affettività, funzionamento interpersonale o controllo degli impulsi”

Il DSM 5 classifica i disturbi della personalità in tre gruppi sulla base di somiglianze del sintomo.Ogni gruppo è definito cluster.

Il Cluster A comprende disturbi di personalità che coinvolgono il comportamento strano o eccentrico (Disturbo Paranoide, Schizoide, Schizotipico)

Nel Cluster B, sono coinvolte persone con comportamento drammatico o irregolare (Disturbo Antisociale, Bordeline, Istrionico, Narcisistico). Infine, il Cluster C, coinvolge comportamenti di tipo ansioso o inibito (Evitante, Dipendente, Ossessivo-compulsivo)

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